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25 Dicembre 2025
Benito Lorenzi con la maglia dell'Inter
Borgo a Buggiano: un soprannome che nasce in casa e finisce in area di rigore
Benito Lorenzi nasce il 20 dicembre 1925 a Borgo a Buggiano, in provincia di Pistoia. Prima ancora che il calcio lo trasformi in un personaggio, c’è già un’etichetta che gli resta addosso: «Veleno». Non gliela inventa un giornale e non gliela regala un telecronista: gliela appiccica sua madre, Ida, e la faccenda è tanto semplice quanto definitiva.
Quando un soprannome nasce così, non è un trucco. È un’indicazione stradale: ti dice che tipo di uomo stai per incontrare. E Lorenzi, nel calcio, non sarà mai “comodo”.
Empoli 1946-47: numeri veri e un piccolo scherzo che diventa cronaca
La prima tappa davvero misurabile è Empoli, stagione 1946-47 in Serie B: 40 presenze e 15 reti secondo i conteggi più citati. C’è persino un dettaglio da commedia di spogliatoio che finisce nei resoconti: alcune fonti ufficiali arrivano a 39 presenze per via di uno scherzo, con un nome “inventato” (Pirinai) fatto passare per sostituto in una partita.
È una nota che non cambia la sostanza ma spiega l’epoca: si giocava duro, si scriveva a matita, e la realtà poteva farsi beffe dei registri.
Inter 1947: Milano non lo addomestica, lo amplifica
Nell’estate 1947 l’Inter lo compra e lo porta a Milano. È un salto che, a raccontarlo oggi, sembra lineare; all’epoca era un investimento vero. Lorenzi debutta in Serie A contro l’Alessandria e la sua prima fotografia da nerazzurro non è una carezza: arriva un’espulsione, dentro una partita già nervosa.
Alla seconda presenza, il 12 ottobre 1947, segna subito in modo fragoroso: doppietta alla Juventus in un 4-2 che lo mette sul giornale non come promessa, ma come problema per chi deve marcarlo.
Undici stagioni consecutive: 314 partite, 143 reti, e il mestiere del centravanti “scomodo”
Dal 1947 al 1958 Lorenzi resta all’Inter per undici stagioni consecutive. I numeri complessivi sono netti: 314 presenze e 143 reti in gare ufficiali, con 305 presenze e 138 reti in campionato.
Ma la sua cifra non è solo quantitativa. Lorenzi è un centravanti che non si limita a stare dove “dovrebbe” stare: si muove, punge, provoca, vive di contatto. Non è uno che ti chiede il permesso per entrare nella partita. Se deve sporcarla, la sporca. E se deve farla esplodere, la fa esplodere.
Gli anni dei due scudetti: 1952-53 e 1953-54, quando vincere era una faccenda seria
In bacheca arrivano due campionati italiani consecutivi, 1952-53 e 1953-54. Sono stagioni in cui l’Inter torna a imporsi con continuità e Lorenzi è uno dei volti più riconoscibili: non tanto per l’immagine “pulita”, quanto per la capacità di incidere.
In quel calcio, il centravanti non era un ruolo: era una prova di resistenza, una trattativa continua con i difensori e con l’umore della partita. Lorenzi la trattativa non la faceva: la imponeva.
Nyers e Skoglund: quando un attacco diventa un ricordo di città
In quegli anni l’Inter ha un reparto offensivo che resta nella memoria: Lorenzi accanto a István Nyers e Lennart Skoglund. Tre nomi che, messi insieme, suonano come un’epoca.
Lorenzi, in quel trio, è la parte che graffia: quello che non rende “sereno” nemmeno un vantaggio, perché la sua natura è stare dentro la tensione. È il tipo di calciatore che costringe la partita ad avere un tono. E spesso quel tono è il suo.
Azzurro: 14 presenze, 4 reti, e due Mondiali sullo sfondo
Con la Nazionale italiana Lorenzi colleziona 14 presenze e segna 4 reti. L’esordio arriva nel 1949, in Spagna-Italia. Nella sua carriera azzurra rientrano anche le spedizioni mondiali del 1950 e del 1954.
Non è la storia del simbolo assoluto: è la storia di un giocatore che la Nazionale chiama perché serve, e che porta in azzurro lo stesso carattere che porta a Milano: quello che non addolcisce gli spigoli.
6 ottobre 1957: il derby, Lo Bello, Cucchiaroni e la cosa più piccola che diventa eterna
Il 6 ottobre 1957 si gioca Inter-Milan e finisce 1-0. Il contesto è già caldo: arbitra Concetto Lo Bello, e a un certo punto arriva un rigore per il Milan. Sul dischetto va Mario Cucchiaroni.
Qui entra in scena Lorenzi, e non serve ingrandire nulla: la cronaca dell’episodio è diventata più famosa della partita. Lorenzi si avvicina alla panchina, chiede da bere e riceve mezzo limone. Quel mezzo limone finisce sotto al pallone, sul dischetto, e il rigore viene calciato alto.
C’è un dettaglio che rende la storia ancora più “da calcio”: la ricostruzione più citata sottolinea che «la foto precisa del momento non esiste». In mezzo al caos, anche le prove si sono perse, come se la partita avesse deciso di restare racconto più che documento.
Un finale senza abbellimenti: 1958 l’addio, poi Alessandria e Brescia
Lorenzi lascia l’Inter nel 1958. Chiude la sua esperienza da calciatore passando per l’Alessandria (in Serie A) e il Brescia (in Serie B). Non è un tramonto teatrale: è una discesa coerente, da professionista che continua finché può, senza trasformare la carriera in una posa.
L’altra vita: allenatore e lavoro con i giovani
Dopo il campo, Lorenzi resta nel calcio anche da allenatore. E c’è un capitolo più lungo e meno fotografato: il lavoro nel settore giovanile dell’Inter, in anni successivi alla carriera da calciatore. È il tipo di mestiere che non fa notizia ma costruisce memoria: campi secondari, pioggia, ragazzi, e quell’occhio severo di chi in area ha vissuto davvero.
3 marzo 2007: Milano, ospedale Sacco
Benito Lorenzi muore il 3 marzo 2007 a Milano, all’ospedale Sacco, dopo una lunga malattia. Aveva 81 anni.
Fine semplice, senza effetti. Il resto, nel calcio, lo fanno sempre gli altri: i ricordi, le discussioni, le domeniche che tornano a galla quando meno te lo aspetti.
Mitologia: il repertorio inevitabile di un uomo che in campo non chiedeva permesso
Intorno a Lorenzi, con il tempo, è cresciuta una mitologia vasta: aneddoti di spogliatoio, soprannomi affibbiati agli avversari, litigate raccontate come duelli, episodi ripetuti con varianti sempre più decorative. Si racconta, ad esempio, di uno schiaffo a Nyers o di soprannomi diventati proverbiali. Sono storie che circolano perché gli somigliano, e in fondo basta questo per farle sopravvivere.
Il punto, però, resta verificabile anche senza colori aggiunti: undici stagioni di fila all’Inter, due scudetti, 314 partite e 143 reti complessive. E un mezzo limone che, nel bene e nel male, ha trovato un posto fisso nella memoria del derby.