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Il passeggero abusivo e il furto della Corona: quando il Forest si prese l'Europa

Da Cenerentola a regina in 180 minuti. Cronaca di come Brian Clough convinse una squadra di esordienti che i Campioni d’Europa erano solo uomini, e che il destino aveva fretta di cambiare maglia

 Il passeggero abusivo e il furto della Corona: quando il Forest si prese l'Europa

Il Nottingham Forest vince la Coppa dei Campioni 1978/1979

Siamo nel 1978. La Coppa dei Campioni non è quel circo itinerante che conosciamo oggi. È una porta stretta, riservata a chi ha il sangue blu: entri solo se sei il Re del tuo paese o se quella coppa ce l’hai già in salotto. Per questo, pescare un derby inglese al primo turno non è sfortuna, è una sceneggiatura scritta male. Pescare il Liverpool, poi, è una dichiarazione di guerra.

Loro, i Reds, non sono solo i campioni. Sono i proprietari dell'immobile. Lo sono da due anni. Dall'altra parte c'è il Nottingham Forest. Degli intrusi. Gente che fino all'altro ieri vagava nella nebbia della Second Division e che ora si presenta al gran ballo dell'aristocrazia europea cercando un posto dove appendere il cappotto. In teoria dovrebbero stare zitti, chiedere scusa per il disturbo. Ma quel Forest lì, quello di Brian Clough, l'educazione l'aveva lasciata negli spogliatoi. Avevano qualcosa di più pericoloso: la fede nei propri, folli, gesti.

City Ground, 13 settembre: quando il pronostico prende il raffreddore

L'andata è il luogo del delitto. È lì che succede l'impensabile, quello che ad Anfield non osano nemmeno sognare: il Liverpool sanguinaMinuto 26. Garry Birtles. Non è un gol, è un atto di lesa maestà. È una crepa nel sistema. Perché se riesci a bucare i Campioni d'Europa anche solo per un istante, il resto della serata smette di essere una partita e diventa un esercizio di coraggio. E il Forest non fa la cosa logica, ovvero gestire. Fa la cosa stupida e magnifica: insiste.

Si arriva all'87’. Entra Colin Barrett. Uno che magari la storia l'avrebbe dimenticato, e invece la scrive. 2-0. Attenzione, perché qui cambia la geometria del mondo. L’1-0 è una promessa, qualcosa che ad Anfield puoi ancora ribaltare con la mistica della Kop. Ma il 2-0 è una sentenza. È una scelta di vita. Significa che non ti sei accontentato di sopravvivere. In quel finale c’è un messaggio silenzioso ma assordante: «Non siamo venuti qui per scattare le foto». Da quel momento, la Coppa smette di essere un miraggio e diventa un oggetto pesante, concreto. È la vecchia legge del calcio, quella che capisci sempre troppo tardi: quando hai davanti il mostro, l'unico modo per non farti mangiare è azzannarlo alla gola prima che apra la bocca.

Anfield, 27 settembre: il silenzio più rumoroso della storia

Il ritorno finisce 0-0. Ma non è uno 0-0 banale, di quelli che ti fanno sbadigliare. È una partita "piena". Per il Forest è la notte della serranda abbassata. Il Liverpool prova a evocare gli spiriti, a trasformare lo stadio in una marea che ti porta via, convinto che l'ordine naturale delle cose debba essere ristabilito. Ma quella sera l'ordine naturale ha il telefono staccato. Il Forest esce dall'Europa che conta senza piegare la schiena, e i detentori del trofeo sono fuori al primo turno.

Bill Shankly e il passaggio al nemico

Ma la vera magia, quella che ti farebbe dire "non ci credo" se la vedessi in un film, succede prima. Sul pullman del Nottingham Forest, diretto ad Anfield, c’è un passeggero abusivo. Si chiama Bill Shankly. Non è un "ex". Shankly è il Liverpool. È l'uomo che ha preso una squadra di seconda serie e l'ha trasformata in una religione laica. A Liverpool non è un nome, è un'epoca geologica.

Eppure è lì, seduto con gli avversari. È come se il Forest si presentasse al cospetto del Re portandosi sottobraccio il ritratto del padre fondatore. Garry Birtles lo racconta ancora oggi con quello stupore asciutto della gente di provincia: «Non chiedetemi come... non sembrava normale... ma nessuno chiese perché. Semplicemente, non si faceva».

In quell'immagine c’è tutto: l’assurdo, l’autorità, e quel modo unico che aveva il Forest di Clough di rendere quotidiano l'impossibile.

La piccola confraternita degli eletti

Più avanti, quando il Forest alzerà la coppa, entrerà in un club esclusivo, di quelli con la selezione all'ingresso: vincere la Coppa dei Campioni alla prima partecipazione. Certo, c'è il Real Madrid del '56, ma loro il torneo l'hanno praticamente inventato, è un caso a parte. Poi ci sono i debuttanti "moderni", quelli che entrano in una casa già arredata da altri: l’Inter di Herrera nel '64, i Lions del Celtic nel '67. E infine loro, gli uomini della foresta nel '79. La differenza? Il Forest non è entrato dalla porta di servizio. È entrato buttando fuori dalla finestra i padroni di casa.

Il centro di gravità permanente

Col senno di poi è facile dire: "Vabbè, poi hanno vinto". Ma il punto è che non vinci "poi" se non vinci "lì". Quel doppio confronto non è un turno preliminare, è l'atto di fondazione. È la pagina uno del romanzo. Eliminare i campioni in carica subito non è una nota a margine. Se reggi l'urto del City Ground e il silenzio di Anfield contro quel Liverpool, allora puoi guardare negli occhi chiunque, anche il destino.

Monaco, 30 maggio 1979: l'ultimo atto

La finale contro il Malmö non ha bisogno di effetti speciali. Finisce 1-0. Segna Trevor Francis, il "Million Pound Player", di testa, su un cross di John Robertson che sembrava dipinto a mano. Un'azione pulita, quasi timida. Ma se ci pensate bene, se tornate con la mente a quel settembre inglese, quel gol è solo una conseguenza. L'esordiente che aveva avuto l'ardire di detronizzare il Re alla prima curva, a Monaco non chiedeva più il permesso a nessuno. Si limitava a ritirare ciò che, in fondo, aveva già vinto mesi prima.

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