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Quando Brigitte Bardot entrò in campo e per qualche minuto Pelé diventò una comparsa: Colombes, 31 marzo 1971

Brigitte Bardot ci ha lasciati a 91 anni, e il calcio la ricorda con il racconto in cui due icone mondiali si incrociarono per una partita di beneficenza

Brigitte Bardot e Pelè

Pelè e Brigitte Bardot

Brigitte Bardot è morta oggi, a 91 anni. La conferma è arrivata dalla Fondazione che porta il suo nome. Il resto lo conosciamo tutti: l’attrice diventata simbolo, la fama che le restava addosso anche quando aveva scelto di sparire, la vita ritirata nel Sud della Francia. Ma se la sua storia entra nelle pagine di uno sportivo non è per un vezzo: è perché, una volta, Bardot è entrata davvero in campo. E quella scena, ancora oggi, spiega meglio di mille aggettivi cosa significasse “essere un’icona” nei primi anni Settanta.

Quando lo stadio somigliava a un set
Parigi non è esattamente Parigi, è Colombes. Stadio Yves-du-Manoir, un posto che ha già visto passare un altro secolo e che quella sera, il 31 marzo 1971, si riempie per una ragione semplice: arriva Pelé con il Santos. Non una partita di campionato, non una finale. Una serata di gala, una sfida di beneficenza, una di quelle notti costruite per far accendere le macchine fotografiche e la televisione.

Davanti al Santos non c’è una squadra sola, ma una selezione messa insieme con i giocatori di Olympique Marseille e Saint-Étienne: due nomi pesanti del calcio francese di quei tempi. L’idea è chiara: se inviti il Re, gli devi mettere davanti qualcosa che gli assomigli, almeno per prestigio.

Il calcio d’inizio che sposta l’asse della serata
Poi succede la cosa che rende questa storia più grande del suo tabellino. Brigitte Bardot scende a bordocampo per dare il calcio d’inizio e salutare Pelé. È un gesto da protocollo, ma non ha niente di protocollare. Attorno c’è un’energia che oggi fatichiamo a immaginare: giornalisti che si stringono, pubblico che si spinge, il confine tra tribuna e campo che si assottiglia.

Pelé è lì, sorride, sta al gioco. Ma per qualche minuto non è lui il centro. È la regola delle vere star: quando arrivano, non chiedono attenzione, la spostano.

Novanta minuti che non cercano gloria
La partita, a volerla raccontare come partita, è quasi un controsenso. Finisce 0-0. Non è una serata di grande calcio, e non prova nemmeno a esserlo. È calcio dentro una cornice troppo piena: l’evento, la folla, la beneficenza, le facce note, l’aria da “serata speciale” che toglie un po’ di verità alla competizione.

Eppure anche questo dettaglio, proprio perché è asciutto, rende la storia credibile: non c’è bisogno di inventarsi gol memorabili per dire che quella notte è rimasta.

I rigori come finale obbligatorio
Per dare un vincitore alla scena, arrivano i rigori. La selezione francese vince 3-1. È un epilogo quasi cinematografico: non perché sia romantico, ma perché è “necessario”. In quelle serate, la trama pretende un ultimo colpo di tamburo, una coppa, un finale che chiuda la porta.

Che cosa avevano in comune Bardot e Pelé
Non il mestiere, non il carattere, non il destino. Avevano in comune una cosa sola, enorme: erano diventati un linguaggio internazionale. Pelé era il calcio che il mondo capiva senza traduzione. Bardot era un’idea di libertà e di fascino che bastava nominare con due iniziali: «B.B.». E quando due persone così entrano nella stessa inquadratura, non serve altro. La foto resta perché racconta un’epoca: quella in cui un’attrice poteva dare il calcio d’inizio e trasformare un’amichevole in un fatto di costume; quella in cui un calciatore poteva essere più famoso di un capo di Stato.

Il calcio non è soltanto classifica e highlights. A volte è un pezzo di cultura, senza volerlo. A volte è lo specchio di un tempo. Colombes, 1971: una diva, un Re, uno stadio che si crede teatro. Il risultato finisce in fondo. L’immagine resta davanti.

E oggi che Bardot se n’è andata, quella scena torna a galla per lo stesso motivo per cui è sopravvissuta: è semplice, netta, vera. E dentro, anche il calcio ha la sua parte.

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