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Il pomeriggio in cui Dio scese all'Azteca per chiedere un passaggio al Diavolo e insieme decisero di restituire il sorriso a un popolo che aveva dimenticato come si fa

Città del Messico, 22 giugno 1986. Storia di come un numero dieci con la faccia da indio e il cuore in fiamme rubò il tempo all'aristocrazia del calcio, mescolando il furto più grande e il gol più bello in un unico, irripetibile respiro di eternità.

Diego Armando Maradona, mano de dios e aquilone cosmico

Diego Armando Maradona, mano de dios e aquilone cosmico

L’ombra delle Malvinas e il caldo che scioglie i pensieri

Ci sono partite che servono a riempire gli almanacchi, quelle dove i ragionieri del calcio annotano i marcatori e chiudono i registri. E poi ci sono pomeriggi che non finiscono mai. Pomeriggi che restano sospesi nell'aria, come polvere dorata, dove il tempo decide di sedersi in tribuna a guardare, perché ha capito che quello che sta succedendo non riguarda più lo sport. Riguarda il destino.

Siamo all'Azteca. È il 22 giugno del 1986. Fa un caldo che scioglierebbe anche i pensieri di un monaco tibetano.
In campo ci sono ventidue uomini, ma la questione è privata tra due nazioni. Quattro anni prima, nell’Atlantico del Sud, su isole fredde e battute dal vento che gli inglesi chiamano Falkland e gli argentini, con un dolore che non passa, Malvinas, si era sparato per davvero. Lì avevano vinto le navi di Sua Maestà. Lì, la tecnologia e l'ordine avevano schiacciato il cuore disordinato del Sudamerica.
Adesso, però, non c'è il mare. C'è l'erba. E sull'erba, la logica militare non conta. Conta chi ha il numero 10 sulla schiena.

Scacchi e pugni in un pomeriggio senza logica

L'Argentina arriva a Città del Messico come un esercito di straccioni guidato da un profeta basso e tozzo. Diego Armando Maradona. Non è un atleta, è un problema irrisolto per la fisica newtoniana.
L'Inghilterra, invece, è quadrata, logica. Hanno Gary Lineker, uno che se gli chiedi di fare gol, lui lo fa, senza chiedere il perché, come un impiegato modello del catasto.

Il primo tempo è una partita a scacchi giocata in una rissa da bar.
Gli inglesi picchiano, ma con educazione. Non c'è la violenza brutale di certi difensori italiani o uruguagi; c'è quella marcatura asfissiante, quel modo anglosassone di dirti «tu di qui non passi, mate». Maradona è una trottola impazzita. Scende a centrocampo, tocca la palla, si gira. Ogni volta che la tocca, centomila persone trattengono il respiro, come se stessero aspettando che un prestigiatore tiri fuori il coniglio o la colomba. Ma per quarantacinque minuti, il cilindro resta vuoto. 0-0.

Il borseggiatore di Villa Fiorito e il grande furto a cielo aperto

Poi arriva il minuto 51.
E qui la storia smette di essere cronaca e diventa teologia.

C'è una palla che si alza a campanile, una traiettoria sporca, nata da un rimpallo sfortunato di un mediano inglese, Steve Hodge. La sfera sale verso il cielo azzurro del Messico e ricade nell'area piccola.
Peter Shilton è il portiere. È un monumento britannico. È alto, grosso, usa le mani per mestiere. Esce sicuro. Quella palla è sua per diritto divino e per leggi geometriche.
Diego è alto un metro e sessantacinque, forse un metro e sessantasei se quel giorno si è svegliato felice. Non dovrebbe nemmeno provarci.
Invece salta.
Ma non salta come un calciatore. Salta come un pibe di Villa Fiorito che sta cercando di rubare una mela al mercato senza farsi vedere dal fruttivendolo.
Le teste sono vicine, ma la testa di Diego non ci arriva. Ci arriva il pugno sinistro.
Toc.
Un suono sordo, che sentono solo loro due. La palla rotola in rete.
Shilton atterra e allarga le braccia. Ha la faccia di chi ha appena visto un fantasma saccheggiargli casa. Corre verso l'arbitro, il signor Ali Bin Nasser, tunisino, un uomo che in quel momento sta guardando, ma non sta vedendo.
Diego? Diego sta già correndo verso la bandierina. Non esulta, recita. Chiama i compagni: «Venite ad abbracciarmi, o l’arbitro se ne accorge!». È il furto perfetto. È la rivincita del povero che usa l'inganno perché non ha le armi del ricco.
Negli spogliatoi dirà che è stata la "Mano de Dios". Una bestemmia magnifica. Se Dio gioca a calcio, quel giorno aveva la maglia numero 10.

Quattro minuti dopo: l’aquilone cosmico e la geometria dell’impossibile

Ma se la storia finisse qui, sarebbe solo la storia di una magica truffa.
E invece il calcio, che è uno sceneggiatore sadico e geniale, decide che non basta. Decide che il Diavolo e l'Acquasanta devono abitare nello stesso corpo, nello stesso pomeriggio, a quattro minuti di distanza.

Minuto 55.
Diego riceve palla nella sua metà campo. Si gira.
Davanti a lui c'è l'esercito inglese. Peter Beardsley, Peter Reid. Diego fa una piroetta, se li lascia alleati come si lascia un cattivo ricordo. E parte.
Comincia a correre verso la porta di Shilton. E mentre corre, il campo sembra inclinarsi. Gli inglesi, Terry Butcher, Terry Fenwick, provano a fermarlo, ma non riescono nemmeno ad avvicinarsi. Sembrano statue di sale, birilli messi lì per caso. Diego non corre sull'erba, corre sopra un filo invisibile che ha steso solo per sé.
Victor Hugo Morales, in cabina di commento, sta iniziando a piangere prima ancora che la palla entri. Parla di "aquilone cosmico". Chiede da quale pianeta sia sceso uno così.
Diego arriva davanti a Shilton. Lo stesso Shilton che quattro minuti prima aveva truffato.
Stavolta non c'è trucco. C'è solo l'infinito.
Finta il tiro, Shilton va giù come un sacco vuoto, Diego tocca la palla col sinistro, mentre cade, mentre un difensore prova a spezzargli la caviglia in scivolata.
Gol.
2-0.
In quattro minuti, Diego Armando Maradona ha mostrato al mondo le due facce dell'anima umana. La miseria e la nobiltà. Il borseggiatore e il genio. Ha rubato un portafoglio in tram e poi, sceso alla fermata, ha dipinto la Gioconda sul marciapiede.

Miseria e nobiltà: il conto salato presentato alla Regina

La partita non è finita, perché gli inglesi hanno la testa dura e il cuore di chi non accetta che l'ordine naturale delle cose venga sconvolto dal caos sudamericano. Lineker segna all'81’. Di testa, pulito, onesto. Il 2-1.
Gli ultimi minuti sono un assedio. L'Inghilterra butta palloni in area, cerca la mischia, cerca di ristabilire la logica. L'Argentina spazza via tutto, con la paura negli occhi e il coltello tra i denti. Olarticoechea salva sulla linea un pallone che aveva scritto sopra "pareggio beffa".

Al fischio finale, l'Azteca esplode.
Ma non è solo una vittoria sportiva. In Argentina, nei bar di Buenos Aires, nelle baracche di Rosario, la gente non sta festeggiando il passaggio del turno. Sta festeggiando un risarcimento. Hanno vinto la guerra che non si poteva vincere con i fucili.
Gli inglesi tornano a casa convinti di aver subito un'ingiustizia, e hanno ragione. Ma tornano anche con la consapevolezza segreta di aver assistito a qualcosa che non si può processare in un tribunale.

Quel pomeriggio del 1986 ha insegnato al mondo una lezione che fatichiamo ancora ad accettare: che il più grande di tutti i tempi non era un eroe senza macchia. Era un peccatore. Era uno che barava. Ed era, nello stesso identico istante, l'unico uomo capace di prendere un pallone di cuoio e trasformarlo nell'oggetto più luminoso dell'universo.
E forse è proprio per questo, per quella mano sporca e per quel piede divino, che non riusciremo mai a smettere di guardarlo.

La telecronaca del gol più bello del secolo

Vi lasciamo con la voce spezzata dall'emozione di Victor Hugo Morales che ha raccontato, in diretta, la lunga cavalcata di Maradona contro la formazione inglese:
«... la tocca per Diego. Ecco, la tiene Maradona. Lo marcano in due, tocca la palla Maradona. Avanza sulla destra il genio del calcio mondiale, e lascia lì il terzo e va a toccarla per Burruchaga... sempre Maradona! Genio, genio, genio! Ta-ta-ta-ta-ta-ta! Gooooool! Goooool! Voglio piangere... dio santo, viva il calcio! Che gol! Diegoooool! Maradona! C'è da piangere, scusatemi... Maradona in una corsa memorabile, la giocata migliore di tutti i tempi. Aquilone cosmico, da che pianeta sei venuto per lasciare lungo la strada così tanti inglesi? Che il Paese sia un pugno chiuso che esulta per l'Argentina! Argentina 2, Inghilterra 0! Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona! Grazie Dio, per il calcio, per Maradona, per queste lacrime, per questo Argentina 2, Inghilterra 0...»

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