Dudley Road e il sabato che cambiò l'orologio
Siamo a Wolverhampton. È l’8 settembre 1888.
Il cielo è quello tipico delle Midlands: basso, grigio, un coperchio di pentola che ti schiaccia contro l’asfalto umido. Se passate oggi da Dudley Road, non troverete nulla. Il campo non esiste più. È stato inghiottito dalla città, dalle case, dal cemento che cancella le orme dei pionieri. Ma quel giorno, Dudley Road è il centro del mondo, anche se il mondo ancora non lo sa.
È il giorno in cui il calcio smette di essere un passatempo gitano, fatto di amichevoli organizzate per posta e cancellate per pioggia, e decide di diventare un’abitudine. Un rito. Una tassa sulle emozioni da pagare ogni sette giorni. William McGregor ha convinto i club: serve un campionato, serve una classifica, serve dire alla gente «ci vediamo sabato prossimo».
Wolves contro Aston Villa.
La gente si accalca lungo le linee laterali. C'è odore di tabacco scadente e di attesa. Non sanno che stanno assistendo alla posa della prima pietra di una cattedrale. O meglio: alla prima macchia sul pavimento della cattedrale.
Gershom Cox e la maledizione del primo tocco
La partita inizia. E qui la storia, quella con la S maiuscola, fa un passo indietro e lascia spazio all’ironia, che è la vera dea protettrice di questo sport.
Tutti aspettano il gol. L'eroe. Il centravanti con i baffi a manubrio che spacca la rete e si prende gli applausi. E invece no.
Il destino sceglie Gershom Cox. Difensore dell’Aston Villa.
Un cross, un rimbalzo bastardo, la palla che scotta. Cox fa quello che deve fare un difensore: interviene. Cerca di salvare. Ma il calcio è l'unica frontiera dove l'intenzione non conta nulla, conta solo la direzione. E la direzione è quella sbagliata.
La palla finisce nella sua porta.
Non è un gol "bello". Non c'è estetica. C'è solo la goffa tragedia dell'uomo che inciampa mentre sta correndo verso la gloria. Il tabellino, freddo come una sentenza di tribunale, registra: Gershom Cox, autogol.
È l'incipit del romanzo più lungo del mondo.
Pensateci: il campionato di calcio più antico del pianeta, la Football League, non inizia con una prodezza. Inizia con uno sbaglio.
È come se il Dio del Calcio avesse voluto mettere le cose in chiaro fin da subito: «Signori, mettetevi comodi, prenderemo appunti e faremo classifiche, ma ricordatevi che qui, a comandare, sarà sempre l'errore».
Il vento del 1869 e la burocrazia del 2013
Prima di Cox, c'era stato solo il vento.
Le cronache polverose del 1869 raccontano di una raffica che spinse il pallone nella propria porta. Roba da leggenda, folklore per marinai di terraferma.
Ma Cox è diverso. Cox è "registrato". Da quel momento il calcio diventa archivio.
Certo, nel 2013 arriveranno degli storici pignoli, con gli occhiali spessi e la voglia di riscrivere il passato, a dirci che, controllando gli orari precisi dei calci d'inizio, forse il primo gol assoluto fu segnato su un altro campo, qualche minuto prima.
Ma a noi, onestamente, non interessa.
A noi interessa che il primo autogol resti lì, inchiodato alla prima pagina. Una cicatrice che non va via.
L'equilibrio ritrovato e la condanna eterna
Poi, certo, la partita va avanti. Tommy Green segna per l’Aston Villa. Finisce 1-1. Un pareggio onesto, da galantuomini.
Ma nessuno si ricorda di Tommy Green.
Gershom Cox, invece, si è guadagnato l'immortalità al contrario. È diventato il santo patrono di tutti quelli che ci provano e finiscono per fare un casino.
Mentre il pubblico di Dudley Road torna a casa, tra le fabbriche che sbuffano fumo nero, forse qualcuno intuisce la grandezza malinconica di quel pomeriggio.
Il calcio ha promesso di tornare la settimana dopo. E Cox ha promesso che, per quanto il sistema possa essere perfetto, ci sarà sempre un piede messo male, un rimbalzo traditore, un uomo solo davanti all'ineluttabile, pronto a ricordarci che la perfezione non è di questo mondo. E, per fortuna, nemmeno di questo sport.