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La storia del mercante di stoffe scozzese che, tra il fumo delle fabbriche e la pioggia inglese, inventò il calendario del calcio

Birmingham, 1888. Stanco di vedere il destino cancellare le partite, un uomo prese carta e penna e trasformò un passatempo da fango in una liturgia industriale

Willam McGregor

La statua di William McGregor all’esterno della tribuna Trinity Road del Villa Park; a destra il ritratto di McGregor

La città che non chiede permesso e il calcio che trema
Siamo a Birmingham, anno del Signore 1888.
Se chiudete gli occhi, potete sentirla. Non è una città, è una fornace a cielo aperto. Fuma, martella, sputa carbone. È il cuore nero dell'Impero Britannico, un posto dove la gente non vive, produce. E in mezzo a questo inferno di mattoni rossi e ciminiere che grattano la pancia del cielo, c'è il calcio.
Ma non è il calcio che vedete oggi in televisione, pettinato e lucido. No. È una bestia fragile, sporca di fango. La gente, gli operai che escono dalle fabbriche con la tosse e pochi scellini in tasca, pagano il biglietto per vedere ventidue disperati rincorrere una sfera di cuoio pesante come un rimorso. C'è un problema, però. Un problema enorme.
Il calcio di allora è un’amante inaffidabile. Ti promette di esserci, e poi non si presenta. Un'amichevole salta perché piove troppo, un avversario cambia idea all'ultimo perché il treno costa troppo, un campo diventa palude.
E se salta la partita, succede la tragedia: non entra la cassa. E se non entra la cassa, i giocatori non mangiano.
In quel caos, dove tutto è precario come la vita di un minatore, serve qualcuno che metta ordine. Serve un uomo che non guardi il cielo sperando nel sole, ma che guardi l'orologio.

Il mercante di tessuti che odiava le sorprese
L'uomo si chiama William McGregor.
È scozzese. E questo, nella nostra storia, è un dettaglio fondamentale, perché gli scozzesi hanno un rapporto con i soldi e con il tempo che è diverso da quello di tutti gli altri: li rispettano.
Di mestiere non fa l'eroe. Fa il mercante di tessuti. Passa la vita a misurare stoffe, a contare le iarde, a far quadrare i conti. McGregor lavora nell'Aston Villa, ed è un uomo pratico. Uno che capisce una verità che i poeti del pallone si rifiutano di accettare: non esiste romanticismo se non hai i soldi per pagare l'affitto dello stadio.
McGregor vede il professionismo che sta arrivando come un’onda anomala. Capisce che le fondamenta stanno tremando. Senza date certe, non esiste una stagione. Senza stagione, non esiste abitudine. E senza abitudine, il calcio è destinato a morire come una moda passeggera.
Lui non vuole un gioco. Vuole un'industria. O meglio: vuole una garanzia.

       La squadra dell’Aston Villa nel 1897, dopo aver vinto sia la FA Cup sia la Football League

La lettera che vale più di mille gol
Così, mentre fuori piove e la fuliggine copre le strade, McGregor fa la cosa meno epica del mondo: scrive una lettera.
Non è una dichiarazione di guerra, non è un manifesto futurista. È una proposta amministrativa. Scrive agli altri club, quelli che contano, e dice, in sostanza: «Signori, smettiamola di improvvisare. Diamoci appuntamento».
Propone un patto: dodici squadre, un girone, andata e ritorno. Un calendario.
Sembra una banalità burocratica, vero? Invece è la rivoluzione copernicana del pallone.
Sposta il calcio dalla dimensione dell’evento — l'amichevole, la coppa, la festa di paese — alla dimensione della serie. Trasforma l'eccezione in regola. Quando quel patto viene siglato, nasce la Football League.
È il momento esatto in cui il calcio smette di essere un passatempo per gentiluomini o per scommettitori occasionali e diventa un rito.

8 settembre 1888: il primo autogol della storia e l'ironia del destino
Il primo atto va in scena l'8 settembre 1888.
Dovete immaginarvi la scena. Il cielo è grigio, perché in Inghilterra il cielo è sempre complice della malinconia. L'Aston Villa gioca contro il Wolverhampton.
E qui il destino, che ha un senso dell'umorismo tutto suo, decide di lasciare una firma indimenticabile.
Il primo gol segnato nella storia del campionato di calcio più antico del mondo non è una rovesciata, non è un tiro all'incrocio di un bomber leggendario.
È un autogol.
Lo segna un povero cristo che si chiama Gershom Cox, difensore dell'Aston Villa.
Pensateci. Tutta questa fatica per organizzare il sistema perfetto, per dare ordine al caos, e la prima riga che scrivono sui registri è uno sbaglio. Un uomo che calcia nella porta sbagliata. È meraviglioso. È la prova che puoi organizzare tutto, puoi fare i calendari, puoi vendere i diritti, ma alla fine il calcio resta una faccenda di uomini fallibili che scivolano nel fango.

L’eredità invisibile: la promessa del weekend
Ma cosa ha fatto davvero McGregor?
Non ha inventato il calcio. Ha inventato la prevedibilità.
Da quel giorno, l'operaio di Birmingham, il portuale di Liverpool, il minatore di Sheffield sanno una cosa. Sanno che, cascasse il mondo, sabato alle tre si gioca.
Il calcio entra nella logica del "turno". Si crea la classifica. Si crea l'attesa. Il giornale non racconta più solo com'è andata, racconta come andrà. Nasce il concetto di "corsa al titolo" e di "lotta per non retrocedere".
È un passaggio culturale devastante. McGregor ha preso l'arte e l'ha trasformata in abitudine. Ha dato alle persone qualcosa in cui credere che non fosse Dio e che non fosse il Re, ma che fosse altrettanto puntuale.

Il santo patrono delle nostre domeniche
Oggi noi viviamo sommersi dai calendari. Anticipi, posticipi, spezzatini. Ci lamentiamo che si gioca troppo.
Ma la radice di tutto, la scintilla primordiale, è in quella lettera scritta da un mercante di stoffe scozzese che odiava il disordine.
William McGregor non ha una statua in ogni stadio, e forse è giusto così. Lui è una presenza invisibile. È nei milioni di ragazzi che, in ogni angolo del pianeta, si svegliano la mattina e sanno che oggi non è un giorno qualsiasi. Sanno che oggi si gioca.
Ha trasformato il pallone in un appuntamento fisso con il destino. E forse, in un mondo che cambia idea ogni cinque minuti, sapere il giorno in cui la tua squadra scenderà in campo è l'unica forma di pace che ci è concessa.

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