29 Giugno 2021
Certe (belle) abitudini. "Le finali sono partite a sé". Alzi la mano chi non ha sentito almeno una volta questa frase, soprattutto associata al calcio. Di luoghi comuni sul mondo del pallone ce ne sono un'infinità: il più delle volte si rivelano essere leggende metropolitane, in casi eccezionali racchiudono un fondo di verità. Quello sulle finali è uno di questi. Come fare per spiegarlo? Semplice, bisogna mostrare il primo tempo di Roma-Genoa. Due squadre molto simili per talento della rosa ma estremamente diverse per idea di calcio. La squadra di Piccareta ha una mentalità offensiva, pur lasciando volentieri l'iniziativa al Grifone. La cosiddetta "melina" non sembra fare il caso dei giallorossi, che appena possono cercano di servire il tris tutta qualità Pisilli-Cherubini-Padula. Caso vuole che le caratteristiche romaniste si adattino perfettamente a quella che è l'idea di calcio del Genoa. Nella manovra offensiva della squadra di Konko ogni singolo giocatore è chiamato in causa: Palella è il fulcro del gioco, Lipani e Toniato tendono spesso ad alzarsi sulla linea di Accornero, Paggini e Bornosuzov dialogano volentieri quando hanno spazio e modo di farlo. Come accade dopo dieci minuti, quando Paggini serve a rimorchio Lipani, il cui destro è però ben parato da Baldi. Il Genoa dimostra di poter dominare sotto il punto di vista del gioco la Roma, ma ecco che subentra il luogo comune che dicevamo prima: le finali sono partite a sé. Spesso in tali occasioni subentra infatti l'abitudine di giocare certe partite: da qui il ruolo determinante di Missori e Falasca - campioni d'Italia, tra gli altri, ai tempi dell'Under 15 - che al 13' confezionano il vantaggio giallorosso. Il cross dell'esterno giallorosso cogli impreparato Corelli, il cui mancato intervento favorisce lo stesso Falasca che insacca alle spalle di Ascioti. Sette minuti dopo la Roma potrebbe anche raddoppiare, ma il tiro di Cherubini è deviato sopra la traversa quanto basta da Ascioti.
All-in Piccareta. Rivoluzione francese, rivoluzione russa, rivoluzione industriale. Tre dei cambiamenti più grossi della storia, ai quali vanno aggiunte le mosse di Piccareta a fine primo tempo. Un gol di vantaggio e un primo tempo senza correre particolari rischi non bastano al tecnico giallorosso, che nell'intervallo ne cambia tre. Sulla carta tutto normale, se non fosse che la sua Roma approccia la ripresa con in campo quattro attaccanti. Le ali sono Missori e Liburdi, Padula è confermato perno offensivo e Koffi (di ruolo attaccante) e Pisilli - pur giocando da mezzali - sono praticamente attaccanti aggiunti. Tale scelta lascia presagire due eventualità: nella prima la Roma, considerando la mole offensiva, prenderebbe il largo; nella seconda il Genoa potrebbe avere più chance di pareggiarla. Si verifica la prima, con la Roma che in poco più di quindici minuti va sul 3-0. Il raddoppio porta la firma di Padula e Liburdi. Il primo approfitta dell'ennesima ingenuità di Corelli e serve un assist al bacio per il secondo, che batte Ascioti con un gran destro (10'). Il tris arriva ancora dalla panchina con Leonardo D'Alessio. Servito in profondità da Padula (due assist per lui), trova uno splendido gol in diagonale (17'). Nei primi venti minuti il Genoa ci capisce ben poco, pur andando vicina al gol in tre occasioni. Se il tiro di Mele è controllato senza problemi da Baldi (21'), i due colpi di testa di Cagia sono le occasioni migliori per il Grifone. Al 16' il centrale raccoglie un assist di Accornero ma non trova la porta, cinque minuti dopo è fermato solo da un intervento clamoroso di Baldi. Nel frattempo la Roma cala, ed ecco che il Genoa torna a buoni ritmi. Lo fa soprattutto con Accornero e Palella: il primo disegna calcio, il secondo offre un pallone invitante a Bornosuzov che di testa la mette all'angolino (33').
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